“La Corte costituzionale ha respinto le
censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di
perequazione delle pensioni, che ha inteso “dare attuazione ai principi
enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”.
La Corte ha ritenuto che – diversamente dalle
disposizioni del “Salva Italia” annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova
e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un
bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze
della finanza pubblica.”
Da questo
scarno comunicato i pensionati hanno appreso che la Consulta ha respinto le
censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65/2015, emanato dal governo
Renzi a valle della sentenza n. 70/2015, con cui la Corte stessa aveva
dichiarato l’incostituzionalità della norma contenuta nella Legge Fornero del
2011 (governo Monti), che disponeva il blocco dell’adeguamento automatico delle
pensioni per gli anni 2012 e 2013.
Ricordiamo
che la questione di legittimità costituzionale del decreto 65/2015 era stata
sollevata da più di una dozzina di tribunali italiani e da una Sezione della
Corte dei Conti, ai quali si erano rivolti migliaia di pensionati speranzosi di
poter ottenere, in virtù della citata sentenza n. 70/2015, la restituzione della
rivalutazione automatica cancellata dalla citata legge Fornero.
La
decisione della Corte, disinnescando la “mina” della perequazione, salva dunque
il governo e penalizza una massa di pensionati ai quali il decreto 65/2015 ha
elargito una piccola mancia o addirittura nulla. Infatti, il decreto
ha accordato una restituzione molto parziale della rivalutazione bloccata,
concedendo una percentuale di rivalutazione del 40% sulle pensioni superiori a 3-4 volte il
minimo mensile lordo INPS, ridotta gradualmente per gli assegni compresi tra 4-5
volte e tra 5-6 volte il minimo INPS; invece gli assegni superiori a 6 volte il
minimo sono stati completamente esclusi dalla
restituzione.
Le
esigenze di finanza pubblica in pratica sono ritenuti prevalenti sui diritti dei
pensionati, cancellati dal governo con la abusata motivazione della mancanza di
risorse nei conti dello Stato. Risorse che poi si trovano senza grosse
difficoltà quando si tratta di soddisfare istanze di altra natura.
Mentre gli
avvocati aspetteranno il deposito della motivazione della sentenza con cui la
Corte ha stabilito la costituzionalità del decreto n. 65/2015 (Renzi-Poletti), per
valutarla sotto il profilo giuridico, i pensionati hanno già formulato il loro giudizio
definitivo: un altro scippo si è consumato ai loro danni.
Vediamo ora
come funziona la rivalutazione automatica, alla luce delle norme rimaste in
vigore, sempre che non intervengano ulteriori provvedimenti legislativi, allo stato non prevedibili.
Per il
quinquennio 2014-2018 vale la disciplina stabilita dal governo Letta con la
legge n. 147/2013, che prevede la rivalutazione degli assegni nelle seguenti
misure percentuali dell’indice ISTAT:
- pensioni di importo mensile lordo fino a 3 volte il minimo INPS 100%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 3 e fino a 4 volte il minimo INPS 95%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 4 e fino a 5 volte il minimo INPS 75%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 5 e fino a 6 volte il minimo INPS 50%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 6 volte il minimo INPS 45%
- pensioni di importo mensile lordo fino a 3 volte il minimo INPS 100%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 3 e fino a 5 volte il minimo INPS 90%
- pensioni di importo mensile lordo oltre 5 volte il minimo INPS 75%