23 luglio 2015

Bollette di gas ed elettricità: l’IVA non va calcolata sulle accise

I giornali riportano la notizia della sentenza emessa da un Giudice di Pace di Venezia, il quale ha deciso che l’IVA sulle bollette di gas ed elettricità va calcolata solo sui corrispettivi spettanti al fornitore e non anche sulle accise spettanti allo Stato come avviene adesso, dando ragione a un consumatore che aveva fatto ricorso.
Tra i principi richiamati dal Giudice di Pace, vi è quello sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3671/97, secondo cui un'imposta non costituisce mai base imponibile per un'altra, salvo deroga esplicita. 
La decisione costituisce, indubbiamente, un precedente importante perché mette in discussione l’attuale disciplina sull’IVA, da sempre contestata dai consumatori, che ammette il calcolo dell’imposta anche sulle accise gravanti sui consumi di gas e di energia elettrica. 
Da un punto di vista pratico, non è possibile prevedere al momento che la decisione comporti vantaggi per i consumatori, poiché é improbabile che milioni di utenti domestici (gli utenti con partita IVA non hanno alcun interesse) decidano di imbarcarsi in un’azione legale individuale per ottenere – in caso di vittoria – il rimborso di cifre relativamente basse. Inoltre, è chiaro che una sola sentenza, se non seguita da decisioni analoghe di altri giudici, non fa giurisprudenza.  
Va anche evidenziato che l’attuale ordinamento non consente ai consumatori di ricorrere alla class-action per la fattispecie in argomento.  Il quadro potrà, però, mutare radicalmente se sarà approvato in via definitiva dal Senato il testo uscito il 3 giugno scorso dalla Camera dei Deputati, che estende la possibilità di un'azione di classe dal codice dei consumatori al codice di procedura civile.
Vedremo cosa succederà. Intanto, un fatto è certo: la sentenza del Giudice di Pace di Venezia spinge le associazioni dei consumatori ad affinare le proprie strategie per rilanciare l'azione volta ad eliminare il calcolo dell’IVA sulle imposte applicate sulle bollette.




17 luglio 2015

A proposito di rivalutazione delle pensioni

Il decreto legge n. 65/2015 sui rimborsi per la mancata rivalutazione delle pensioni decisa dal Governo Monti, dichiarata poi illegittima dalla sentenza della Costituzionale n. 70/2015, è una bella fregatura per i pensionati. Come abbiamo constatato a suo tempo, il decreto in questione, recentemente convertito in legge, stabilisce per una parte dei pensionati solo un recupero (molto) parziale delle somme non percepite per effetto della norma dichiarata incostituzionale, mentre a un consistente numero di essi (circa 724.250 unità) nega qualsiasi rivalutazione per gli anni 2012 e 2013.
L’interrogativo che si pongono ora i pensionati, cui il decreto accorda solo parzialmente o nega del tutto la rivalutazione per gli anni citati, riguarda la possibilità di ottenere o no l’applicazione integrale della sentenza n. 70/2015 e le vie da percorrere per esperire il tentativo in tale senso. Anche l’ANSE si è premurata di dare ai propri soci dei suggerimenti sull’argomento. Infatti, con Foglio Informativo n. 11/2015 - dopo essersi preoccupata zelantemente di dichiarare che La suddetta normativa [quella del decreto legge, (N.d.R.)] sembra rispettare i tratti fondamentali ed i principi affermati dalla Corte Costituzionale (proporzionalità ed adeguatezza), anche sotto il profilo della parziale retroattività della disciplina con riferimento agli anni dal 2012 al 2015 compreso (essendo la rivalutazione attribuita il 1° gennaio di ogni anno).” - ha diffuso uno schema di istanza da inviare all’INPS (tra i tanti testi che circolano in questi giorni), per chiedere l’applicazione integrale della sentenza. Ha anche aggiunto che in caso di silenzio o diniego i pensionati e, quindi anche soci ANSE, potranno rivolgersi a una Federazione di Pensionati oppure ad altra associazione per chiedere assistenza.
Un modo elegante per dire ai soci arrangiatevi da soli, perché l’ANSE se ne lava le mani. Bel modo di attuare gli scopi sociali!  
È più che prevedibile che tale richiesta non avrà alcun effetto, se non quello di interrompere i termini - peraltro allo stato attuale non prossimi alla scadenza. L’aspetto più importante riguarda invece il merito della questione, visto che l’eventuale seguito comporta obbligatoriamente, per chi intende andare sino in fondo, il ricorso all’azione legale. Mettere a disposizione dei soci un parere giuridico qualificato e - all’occorrenza - organizzare e coordinare le azioni legali, individuando e indicando ai soci interessati uno o più professionisti di riferimento, sarebbe stata un’iniziativa perfettamente in linea con gli scopi sociali e sicuramente molto apprezzata. Qual’è stata invece la risposta di ANSE nazionale? La rinuncia ad esercitare il suo ruolo di guida e la scelta di “chiamarsi fuori”, invitando i soci a rivolgersi ad altri operatori. Peccato!